Aulo il romano

di Giuseppe Rudilosso


Capitolo I - Aulo

Aveva seguito la Cassia[1] da quando era partito, ora si trovava su un’antica strada che lo avrebbe portato al Fiume sacro, la sua meta coincideva quasi con le sorgenti del Tevere. Roma era ormai lontana, la primavera del 695 a.U.c.[2] era appena agli inizi, ma il caldo e l’afa cominciavano a farsi sentire. Era vicino alle montagne che dividevano l’Etruria dalla Gallia cisalpina. Le aveva di fronte, imponenti, un grande muro che avrebbe dovuto attraversare, c’era un passo più avanti, vicinissimo alle sorgenti, ma ora si avvicinava ad una grande vallata interamente ricoperta da fitti boschi su entrambi i lati del Fiume sacro: la Valtiberina.

Il sole era ormai al tramonto, la luce rossastra degli ultimi raggi si faceva sempre più debole. Aulo si fermò, era stanco e cominciò a guardarsi intorno per trovare un posto riparato dove dormire. In altri tre o quattro giorni di cammino sperava di arrivare a destinazione; non aveva fretta, ma ci teneva a far presto perché portava un messaggio importante da parte del Senato di Roma al suo amico tribuno Marcus, comandante di un nutrito gruppo di Veterani e istruttori. Il compito, non facile, di Marcus, era di arruolare e istruire giovani del posto per preparare e organizzare nuove Legioni in un grande campo di addestramento e formazione che era stato realizzato nei pressi di Caesena[3], vicino al fiume Rubicone. Il bosco era fitto, ma risalendo leggermente una piccola collina sulla sua destra, trovò una radura dove fermarsi. Sistemato il cavallo, trovò un posto riparato tra due massi e cominciò a preparare il suo “accampamento”. Si tolse l’elmo di bronzo e lo appoggiò su un masso, era sudato, asciugò la fronte e si passò una mano sui neri e ricci capelli.

Di corporatura longilinea, Aulo era un po’ più alto della media dei legionari romani[4]. Avrebbe voluto togliersi anche la Lorica Hamata[5], la cotta di maglia che indossava, ma sapeva benissimo che era una protezione molto valida… necessaria anche quando si viaggiava, non solo in battaglia. Animali e banditi erano sempre da temere, soprattutto per chi viaggiava da solo. Mise il grande scudo ovale ricurvo tra i due massi a mò di tetto e, preso il suo bagaglio, cominciò a svolgere la pelliccia che era legata e arrotolata al supporto. La stese a terra, poi, tolto il cinturone col gladio[6], vi si sedette sopra. “Il letto è pronto” pensò, “ora accendo il fuoco, mi preparo qualcosa da mangiare e poi a dormire!”

Aveva tutto con sé: i legionari, con la riforma di Mario, erano tutti dotati di un bagaglio completo, chiamato sarcina, dove vestiario, attrezzi e cibo erano sorretti da una piccola croce di legno (alta fino al petto). Li chiamavano i muli di Mario[7], visto il peso non indifferente da portare, “…ma essere autosufficienti è importante”, pensò. Per il viaggio aveva ottenuto un cavallo e quindi, almeno per questa volta, il peso non era un problema. Acceso il fuoco sfregando l’acciarino[8] sulla pietra focaia che aveva con sé, prese un po’ di acqua dalla borraccia e la mescolò con la farina di farro[9]. Versò quindi su una padella la pastella così ottenuta che, cuocendo, diventò una buona focaccia con cui accompagnare una bella fetta di formaggio, un po’ di carne di cinghiale affumicata e un paio di cipolle. Due mele e qualche mora trovata in un rovo lì vicino, conclusero il pasto. Alle prime luci dell’alba si svegliò, alcuni passeri cinguettavano rivolti al sole che nasceva e li riscaldava. C’era umidità nell’aria, ma il grande mantello rosso lo aveva ben protetto, era riposato e pronto ad un altro giorno di cammino. Aulo prese le statuette dei Lari e Penati[10] della propria famiglia che portava sempre con sé e li sistemò sopra lo scudo: in ginocchio chiese conforto e protezione per la sua vita e per quella dei suoi genitori. Mentre riponeva le sue cose nella grande borsa improvvisamente si bloccò, c’era silenzio, troppo silenzio… anche il cavallo si era bloccato e i passeri non cantavano più… cominciò a guardarsi lentamente intorno, non vedeva niente di strano, ma il suo istinto gli diceva che c’era qualcuno nel bosco…, con la coda dell’occhio controllò dove fosse il suo gladio: era ancora sulla pelliccia a due metri da lui… L’adrenalina cominciò a scorrergli nelle vene e quel po’ di sonnolenza mattutina che ancora rimaneva scomparve immediatamente.

 Tutti i suoi muscoli ora erano tesi, pronti a muoversi. Avvertì un fruscio e gli uccelli volarono via, immediatamente scattò e con una capriola raggiunse il gladio, trovandosi nello stesso tempo anche sotto lo scudo. Nello stesso istante una freccia si piantò, sibilando, nel terreno dove si trovava lui prima. Dopo pochi istanti, dagli alberi uscì urlando un Gallo[11], era giovane ed atletico, poco più alto di lui, vestiva le classiche brache lunghe a quadri, chiuse con dei lacci alle caviglie, ed era a torso nudo.. I capelli, biondastri, erano legati in due lunghe trecce e intorno al collo un Torques[12] troneggiava sul petto glabro. 

Il giovane brandiva una falcata[13] e imbracciava uno scudo verde e di classica foggia romboidale di circa quattro piedi di altezza. Aulo era sorpreso. Quella zona era ritenuta “sicura”, i Galli erano stati sconfitti e integrati nel sistema romano già da tempo e addirittura erano arruolati nelle legioni Romane. C’era sempre qualche “testa calda”, però, qualche banda più o meno organizzata che rifiutava l’annessione o, nel peggiore dei casi, qualche intero villaggio che si ribellava. 

Aulo, preso il suo scudo, lo fronteggiò, “Gli dei mi hanno aiutato…” pensò, “…ora, però, tocca a me”. Il gallo si avventò con grande slancio su di lui, tirando colpi che Aulo parava agevolmente con il grande scudo rosso, mentre allo stesso tempo controllava e studiava il suo avversario. Il gallo, credendo il romano remissivo, si faceva sempre più baldanzoso e sfrontato. La scherma del giovane era semplice, i colpi che portava erano forti, ma prevedibili. Aulo attese con calma il momento propizio e, quando fu sicuro, alzò il gladio e fintò un fendente[14] alla testa. Il barbaro, istintivamente, alzò subito lo scudo per coprirsi e parare il colpo. Il colpo, però, non arrivò e quindi, sorpreso, abbassò lo scudo per vedere cosa succedeva. Era proprio quello che aspettava Aulo: aveva sospeso il fendente proprio per avere questa opportunità, il colpo partì in quel momento e con tempismo perfetto colpì, fracassandola, la testa del gallo che crollò a terra senza un lamento e il sangue cominciò a scorrere via insieme alla sua giovane vita. Aulo fece un passo indietro per controllare l’effetto del colpo, ma capì subito che il duello era finito lì. 

Aulo tirò un sospiro di sollievo, ringraziò gli Dei e soprattutto l’addestramento ricevuto negli anni precedenti. Il problema dei combattimenti con lo scudo è che quando si alza per parare, non si vede più cosa fa il nemico. “Devi parare continuando a guardare l’avversario…” gli aveva più volte gridato il suo istruttore Paulo Tazio, “…se ti fanno una finta, quando abbassi lo scudo potrebbe arrivare il colpo vero… e sarebbero dolori!”.  

Aulo aveva ricordato benissimo la lezione ed era riuscito a metterla in pratica a suo vantaggio. Il giovane gallo non aveva esperienza e aveva pagato la sua foga con la vita.

Mentre l’adrenalina continuava a pervadere il suo corpo, Aulo, ancora eccitato per il combattimento, tolse il Torques al giovane gallo e lo indossò, come trofeo e ricordo della vittoria. Aulo ricordava benissimo un episodio della storia romana, quasi una leggenda, riportato da Quinto Claudio Quadrigario[15] in cui il protagonista, dopo aver vinto il duello con un gallo, ne indossò il Torques. Era stata una delle sue letture preferite, nella sua giovane mente aveva più volte sognato di fare come Tito Manlio, di diventare un eroe di Roma.

Guardò il gallo, esaminò come era vestito e notò un bel pugnale, col manico d’osso finemente lavorato, che il ragazzo teneva infilato nella cintura.

“Che bel pugnale…” pensò Aulo infilandoselo nella cintura “…strano…la lama ha un colore strano, diverso dal solito…”

 Istintivamente guardò anche la falcata del gallo. Sembrava nuova, fatta da poco. Il colore del metallo era uguale a quello del pugnale, un po’ più chiaro. Incuriosito, analizzò il filo del lato tagliente. Dopo i primi colpi (soprattutto in caso di parate), il filo di una lama si intacca sempre. Per questo motivo, dopo un combattimento, era sempre necessario lavorare di lima sul filo. Se, però, una lama fosse più dura dell’altra, il filo non sarebbe intaccato… e la lama della falcata del gallo non era intaccata!

“Che strano… sembra molto più dura… hanno trovato il modo di indurire il ferro?” si chiese Aulo.

 Una volta ritrovata la calma, Aulo pensò che potessero esserci altri Galli in zona e così decise di affrettarsi e allontanarsi da quel luogo. Decise anche di non continuare sul sentiero battuto e di non passare dentro il bosco per evitare altri incontri o agguati. Aulo aveva una meta intermedia, il motivo per cui non era passato dalla via Flaminia per recarsi nella Gallia Cisalpina: voleva passare a trovare la famiglia di sua madre. “Lo zio Antonio è qui vicino, manca poco”, pensò. Dopo quanto successo voleva anche informarsi sui Galli presenti in zona. Lo zio, soprannominato da tutti “Caron”, gestiva con tutta la sua famiglia una locanda a Mons Herculis[16] e quindi grazie al via vai continuo dei viandanti che si fermavano per rifocillarsi, era sempre al corrente di tutto quello che succedeva in zona.


[1] Via consolare romana. Univa Roma a Firenze, sarà poi prolungata fino a raggiungere l’Aurelia passando per Lucca.

[2] Il 695 è il 58 a.C., a.U.c. sta per “ab Urbe condita” (dalla fondazione dell’Urbe, cioè Roma, avvenuta nel 753 a.C.)

[3] L’odierna Cesena (FO)

[4] L’altezza media era poco più  di un metro e mezzo.

[5] La lorica hamata è una cotta di maglia in ferro, arrivava sotto l’inguine ed era quasi senza maniche.

[6] Tipica arma romana: corta e robusta adatta soprattutto nei combattimenti corpo a corpo o in mischia. I colpi erano portati principalmente di punta.

[7] Gaio Mario, generale e console romano introdusse un’ampia riforma dell’esercito nel 107 a.C.. I legionari vennero chiamati “Muli”, poiché portavano sulle spalle uno bagaglio pesantissimo in cui si trovava una sorta di dotazione di sopravvivenza e poiché erano spesso sottoposti a marce e a lavori campali.

[8] Anello di acciaio. Lo sfregamento del metallo con la pietra focaia (pirite o selce) produce scintille.

[9] Per secoli il farro è stato l'alimento base dei romani, cresce bene in terreni poveri ed è molto resistente al freddo. Venne, poi, abbandonato poiché di resa non molto elevata e di raccolta difficoltosa.

[10] I Lari e i Penati rappresentavano gli spiriti protettori di una famiglia e della sua casa. Quotidianamente venivano ricordati ed onorati.

[11] Nome dato dai Romani ai Celti originari della Gallia (Francia, Belgio, Olanda, ecc.)

[12] Era un collare di forma circolare, solitamente d'oro o di bronzo, più raramente d'argento, usato dai Celti e affini.

[13] La Falcata è una spada di forma particolare: più grossa in punta e con un manico ricurvo come un ombrello. L’origine è incerta, forse indeuropea, fu utilizzata da vari popoli, dai Macedoni di Alessandro (la famosa kopis) agli iberici, fino ai coltellacci dei gurkha nepalesi dei giorni nostri.

[14] Colpo di taglio  dall’alto verso il basso.

[15] Storico latino del periodo tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. L’episodio citato (I° libro degli “Annali”) è anche stato riportato da Tito Livio (“Ab Urbe condita”). Protagonista dell’episodio è Tito Manlio  soprannominato “Torquato” per aver indossato il Torques del gallo.

[16] Oggi si chiama Monterchi (AR).